La Chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo di Caspano ospita tre capolavori
della scultura lignea rinascimentale lombarda.
Sono la grande ancona con episodi della vita del patrono S. Bartolomeo
apostolo (purtroppo poco visibile, dietro all'altar maggiore), la più
piccola e più nota ancona della Risurrezione di Lazzaro, nella seconda
cappella sinistra, e il gruppo di otto statue raffiguranti il Compianto
su Cristo morto nella seconda cappella destra. Mentre le ancone sono
note e apprezzate da tempo, il Compianto ha una storia più accidentata,
al termine della quale si è giunti ora a ritenerlo come opera di una
delle migliori botteghe di intagliatori lombardi fra Quattro e
Cinquecento, quella dei fratelli De Donati, gli stessi che hanno
eseguito le due ancone, datando 1508 quella della Resurrezione di
Lazzaro.
Verso la fine dell'Ottocento già si lamentavano le cattive condizioni
in cui si trovava il nostro gruppo ligneo che, successivamente, verso
il 1930, subì un drastico intervento non solo di ridipintura, ma di
modifica delle singole statue in modo da alterarne il significato. Si
volle, cioè, realizzare con le statue di Cristo e della Madonna, un
gruppo portatile nella processione del venerdì santo, dotato di una
portantina fissa e, quindi, di autonomia rispetto alle altre statue,
che dovettero pure subire delle modifiche per ritrovare una
composizione d'insieme. Da allora, per cinquant'anni, il Compianto
continuò ad avere un ruolo devozionale, ma fu trascurato dal punto di
vista artistico finché verso il 1980 attirò l'attenzione del benemerito
studioso Battista Leoni di Sondrio, che lo propose come opera
cinquecentesca dell'altra grande bottega di intagliatori lombardi,
Giovan Angelo e Tiburzio Del Maino.
Da quel momento è stato un succedersi di studi finché non solo la parola
definitiva ma anche e soprattutto la ricomposizione originaria
dell'insieme si è avuta col restauro terminato nel 2011, voluto e
finanziato dalla Soprintendenza ai beni storici e artistici della
Lombardia, e affidato alla ditta Luca Quartana di Milano. L'importanza
dell'operazione di restauro e l'inestimabile valore artistico
dell'opera sono testimoniati da un convegno di studi che ha visto la
partecipazione dei maggiori esperti del settore e dall'esposizione in
mostra nella centralissima chiesa di S. Giacomo in Como per qualche
mese a partire dalla settimana santa dello stesso anno. Il Compianto è
stato temporaneamente esposto al Museo Valtellinese di Storia e Arte di
Sondrio, dove è stato oggetto di particolare ammirazione. Per tornare
nella sua collocazione originaria è stato però necessario riadattare la
cappella che lo ospitava, pesantemente modificata col citato intervento
del 1930.
Il ritorno dal Museo alla Chiesa ci ricorda che il Compianto non è
"soltanto" un'opera d'arte, ma un oggetto di culto. È, cioè un'opera
d'arte dalla profonda ispirazione religiosa, un oggetto proposto non
solo e non tanto all'ammirazione degli spettatori, quanto piuttosto alla
meditazione dei fedeli.
Il gruppo di otto statue rappresenta il momento tragico in cui il corpo
morto di Cristo, appena deposto dalla croce, sta per essere sepolto. I
personaggi indicati dai vangeli come presenti sul Calvario sono colti
nell'istante in cui esprimono nei loro atteggiamenti, nei loro sguardi,
nell'espressione dei volti, il loro dolore straziante nella
contemplazione del corpo martoriato ed esanime di Cristo, deposto per
terra. Al centro, protesa con gli occhi di madre fissi nello sguardo
spento del figlio morto, è la Madonna. Ai suoi lati, pure
inginocchiate, due delle donne che avevano seguito Gesù dalla Galilea
(come dice il Vangelo), sono abitualmente identificate con Maria di
Cleofa e Salòme. Maria Maddalena, inconfondibile, con la lunga chioma
sciolta, sorregge quei piedi di Cristo che, ancora in vita, aveva
cosparso d'unguento. In piedi, al centro, Giovanni, il giovane discepolo
prediletto, il più vicino, come di consueto, al capo del Maestro. Ai
lati, due anziani, Giuseppe d'Arimatea (a sinistra), che aveva messo a
disposizione il suo sepolcro, e Nicodemo (a destra).
L'opera è stata realizzata in un periodo della storia della devozione,
in cui si esigeva che la fede fosse esternata con fortissime reazioni
emotive. I fedeli sentivano il bisogno di essere emotivamente coinvolti
nel profondo dei loro sentimenti nella contemplazione di un dolore vero,
provocato dai loro peccati, un dolore immenso, che scuote e rafforza
nella Fede, come testimoniano diversi brani poetici medievali: "Si tu
non piangi quando questo vedi, non so se a Yesu Cristo vero credi".
Un'opera del livello di quella di Caspano non può essere nata che da un
committente facoltoso e colto, come poteva essere il parroco Giovanni
Maria Paravicini, che resse per oltre un cinquantennio la parrocchia,
dal 1497 al 1549, in un'epoca in cui il paese era la culla
dell'aristocrazia colta non solo valtellinese. Quello era anche il
periodo di grande successo della scultura lignea, che permetteva una
grande duttilità nella manipolazione della materia e aggiungeva alla
plasticità lo splendore dei colori. Basti pensare, oltre ai capolavori
di Caspano, alle ancone dell'Assunta a Morbegno e di S. Lorenzo da
Ardenno, ma anche alle ancone perse della chiesa morbegnese di
Sant'Antonio, o a opere sopravvissute solo frammentarie, come la Madonna
in adorazione del Bambino di Valle o la Madonna del Compianto di
Morbegno, "ritrovata" pochi anni fa e ora in restauro.
Il destino di questi manufatti ci conferma innanzitutto la loro
essenziale funzione devozionale. Quando, per il mutare dei tempi,
diventavano "incomprensibili" o poco funzionali, venivano accantonati,
deformati o distrutti. Oggi, per fortuna, non solo li apprezziamo e li
valorizziamo per il valore artistico (magari pensando, legittimamente, a
positivi effetti economici prodotti dal turismo culturale), ma cercando
di coglierne l'originario significato religioso, troviamo un innegabile
arricchimento interiore.
Giulio Perotti
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