Approfondimento sul Compianto di Caspano
Fratelli De Donati
Compianto sul Cristo morto
1500-1510 circa
Legno intagliato, dorato e dipinto
Stante a sinistra (Giuseppe d'Arimatea) cm 182
Stante a destra (Nicodemo) cm 178, Cristo morto cm 181, San Giovanni cm
182, Maddalena cm 105, Madonna cm 117, Maria a sinistra (di Cleofa) cm
104, Maria a destra (di Salomè) cm 107
Al
termine di un lungo e impegnativo restauro viene qui presentato il
gruppo del Compianto sul Cristo morto proveniente dalla chiesa di san
Bartolomeo di Caspano di Civo (So).
Il
complesso, composto da otto figure in legno dipinto e dorato scolpite a
tutto tondo, è solitamente collocato all'interno della cappella della
Pietà, la terza di destra nella parrocchiale di Caspano. Il piccolo
borgo, della Costiera dei Cèch, la sponda orografica destra della
Valtellina tra Colico e Talamona, ha conosciuto nei tempi passati
momenti di notevole splendore grazie alla nobile casata dei Paravicino,
che lo elesse quale sua dimora esemplare, arricchendolo di architetture
e splendidi arredi.
Fu
probabilmente Don Giovanni Maria Paravicino, curato dal 1497 al 1549, a
dotare la chiesa dei tre complessi lignei attribuiti alla bottega dei De
Donati: l'ancona della Resurrezione di Lazzaro (firmata e datata "HOP.
ALVISII / DE DONATIS /MEDIOLANEN. / 1508 / AUGUSTI ") nella seconda
cappella di sinistra, l'imponente fabbrica a più scomparti dell'altare
principale con Storie di san Bartolomeo e il Compianto.
Mancano
finora riferimenti documentari per quest'opera attribuita, su basi
stilistiche, fino agli anni Ottanta a un artefice locale del XVII-XVIII
secolo. Solo i più recenti studi la riconducono più correttamente al
primo Cinquecento, in specifico alla mano di Alvise (o Luigi) De Donati
e alla sua bottega, grazie alle analogie o addirittura identità
fisionomiche tra alcune figure del Compianto e quelle della Resurrezione
di Lazzaro della stessa chiesa.
I
volumi e i tratti squadrati delle figure e i panneggi, che alternano
pieghe più morbide a spiegazzature cartacee, sono caratteri distintivi
dei fratelli di Luigi, Giovan Pietro e Giovanni Ambrogio, così come
altri stilemi caratteristici e ricorrenti, come la sporgenza dei bulbi
oculari e la resa schematizzata dei capelli, che cadono in grosse
ciocche cordonate. Bisogna rilevare, però, che mentre le altre opere in
san Bartolomeo, pur nella varietà e complessità delle figure e
dell'ambientazione architettonica, sono momenti esemplari della
produzione di macchine d'altare per le quali l'abilità degli artisti si
esprime attraverso la resa della tridimensionalità delle scene
"compresse" entro lo spessore di poche decine di centimetri della cassa
lignea, il Compianto si pone come un'esperienza altra, dove lo spazio
non è più semplicemente riprodotto, ma è fisicamente generato grazie
all'inserimento di statue a tutto tondo e a grandezza naturale entro una
cappella.
Non più messo in discussione dalla critica successiva, il riferimento
agli scultori milanesi può quindi essere precisato in termini
cronologici, mentre allo stato attuale delle ricerche risulta difficile
tentare distinzioni di mano all'interno della bottega.
Rispetto al gruppo della Pietra dell'Unzione di Varallo Sesia, ormai
concordemente ritenuto un'opera precoce dei De Donati databile agli anni
Ottanta del Quattrocento, questo Compianto di Caspano rivela una
teatralità più mossa e partecipe. Se le statue di Varallo appaiono
ancora chiuse in un dolore rituale che cristallizza i loro gesti e le
loro espressioni, quelle del gruppo valtellinese infatti sono il frutto
di ricerche in chiave naturalistica che sembrano partecipare della
ricerca degli "affetti" promossa a Milano negli anni di Leonardo e
Bramante. Basti osservare la patetica espressione del dolore della
Maddalena, o il mancamento quasi scomposto della Madonna alla vista del
corpo del figlio.
Un
simile avanzamento nelle ricerche della bottega richiede un tempo di
elaborazione di dieci se non di venti anni rispetto alla Pietra
dell'Unzione, collocandosi in prossimità della data del 1508 apposta
sull'altare della Resurrezione di Lazzaro.
L'infelice intervento di scomposizione, tramite tagli decisi di numerose
porzioni delle figure, ricollocate in uno spazio reso esiguo
dall'inserimento di finte rocce in muratura, di rimodellamento a gesso e
di ridipintura, lontana dalle cromie originali, operato, su probabile
richiesta del parroco, intorno al 1929 dal pittore e plasticatore Eliseo
Fumagalli (Delebio-So 1887-1943), autore anche della decorazione
pittorica dello sfondo della cappella (una veduta di Gerusalemme), aveva
in parte alterato la percezione delle relazioni profonde tra le figure
del complesso ligneo. L'intervento di restauro, finanziato dal Ministero
per i Beni e le Attività Culturali ed eseguito in due lotti dalla ditta
Luca Quartana di Milano, dal 2007 al 2010, ne ha restituito a pieno i
valori formali e cromatici, il delicato equilibrio dei gesti e degli
sguardi.
Prima
operazione è stata la demolizione progressiva delle modifiche e
ricostruzioni plastiche in gesso operate sulle singole sculture; questo
ha permesso il recupero di tutti i frammenti originali che sono stati
lentamente ricomposti. E' stato possibile ritrovare ampie stesure della
policromia originale, conservatasi sotto la ridipintura, e procedere al
risanamento della materia lignea.
Si è scelto di reintegrare porzioni di modellato significative, andate
perse nell'intervento di modifica, giungendo in fase finale a un ritocco
pittorico con coloranti in miscela cerosa stesi a velatura.
Dal sito web www.antiqua.mi
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