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CAPO V.

 

La zizzania

 

Appena fu ultimata, la Chiesa di S. Bartolomeo era la più bella dei dintorni, giacché anche l'attuale Chiesa parrocchiale di Morbegno, che è bellissima, fu edificata solo nel 1588, e Caspano, risorgendo dalle rovine, cantava la sua rinascita febbrile e si gettava di nuovo verso la vita con un'ebbrezza gioiosa; vi sorgevano splendidi palagi, migliori dei distrutti e la fortuna tornava a rifiorirvi e vi pulsava con alacre ritmo. Nullameno qualche cosa di sinistro si sentiva nell'aria; una sorda corrosione degli spiriti intossicava la vita; molti abbandonavano i sacramenti e non più apprezzavano quella parola di vita, che unica porge alle anime il seme della verità immortale e dà loro quel senso del divino, che eleva al di sopra delle umane miserie e delle umane passioni. La fede, quella fede cattolica, che fu sempre rifugio dei sitibondi di verità, di bontà e di bellezza, aveva per molti smarrita sua efficacia ed il suo incanto e cedeva terreno alle credenze di nuova foggia, facili ad accontentare le frementi passioni. Per il che l'ottimo pastore, che tanto i suoi Caspanesi amava, sentiva al cuore indicibile ambascia, nè gli rimaneva altro sfogo nel dolore, che ritirarsi nella sua nuova, carissima Chiesa, e lì, nel silenzio romito «fra il vestibolo e l'altare», metter la faccia tra le mani e darla in lagrime, versando al cospetto di Dio l'anima nella preghiera per le sue smarrite pecorelle, per i suoi prodighi figli. E mentre nella solitudine tranquilla del tempio santo, egli, che aveva appresa nella gioventù la Sacra Teologia e per tanti anni ne aveva fatto il pane quotidiano, non disputava, no, ma pregava nel pianto, fuori della Chiesa i secolari, la cui istruzione religiosa era sì scarsa da non conoscere alle volte le verità necessarie alla salute, si levavano a maestri di religione e la faceano da Teologi. Per istrada, sulle piazze, in viaggio, fra gli svelti colonnati dei portici, dove era gente seduta in brigata, sempre qualcuno arringava e disputava di Dio, di Sacramenti, di Misteri altissimi. Era un impigliarsi in sofismi, un ravvolgersi fra un ginepraio di errori, una smaniosa brama di mettere al bando le massime, i dogmi, la legge morale, su cui si era sempre imperniato il criterio cattolico: altre credenze, adesso; altri gusti, altri giudizi... Le verità, che più inquietano le coscienze irte di colpe e male in arnese, sono le prime a venir combattute, e, scardinate queste dalle menti, segue ineluttabilmente, come corollario, una morale tutta fatta a maglia...

Tuttavia l'eresia, coi grandi mali, che ha causato, ha apportato anche un vantaggio: ha costretto certa gente, che era cattolica solo di nome, a prendere una posizione decisamente contraria ai veri cattolici. Fu come un crivello, che separò agli occhi di tutti i cittadini di Gerusalemme dai cittadini di Babilonia; sicché il parroco poté aver con sé solo gli eletti, cioè i cristiani di soda virtù e di fortezza indomabile. E a onor del vero ed a gloria di Caspano si deve anche attestare, che i buoni, i forti, i decisi alla virtù furon sempre la stragrande maggioranza dei parrocchiani e specialmente della plebe. Quei poveri massari, obbligati a rompere col bidente, sotto le vampe del sole, le dure glebe, non eran disposti a rinunziare alla Fede degli avi, nella quale trovavan conforto e coraggio a sopportare le miserie di lor condizione e non porgevano orecchio alle massime desolanti del «Vangelo Nuovo»; e poi per loro, rimanendo cattolici, non erano in gioco nè l'onor dei titoli, nè le lucrose cariche, nè i piaceri fragorosi del mondo. Per di più il Cielo vegliava su loro in modo speciale e chi con occhio filosofico scruta gli avvenimenti storici ed i momenti critici delle umane aberrazioni, scorge spesso quel Dio latente, che non permette che le anime degli Eletti gli vengano strappate di mano: «non rapiet eas quisque de manu mea». Come, per i poveri specialmente, Dio apparve pieno di grazia e di soavità frammezzo ai figli degli uomini («Evangelizare pauperibus misit me»), così fra i poveri suole ancora trovare le anime a lui più fedeli ed egli le avvalora di sua grazia, e una potenza arcana si aggiunge e si trasfonde nei loro cuori e le rende invincibili...

Ma non così avveniva dei Nobili e dei Signori. Di essi molti, legati, come di solito, all'autorità imperante, non sapevano schermirsi dalle pressioni dei Signori delle Eccelse Tre Leghe, che volevano render protestante la Valtellina. Si aggiunga la gran corruzione dei costumi del ceto nobiliare, la quale, come una nebbia. offusca il sole della ragione e fa perdere la fede. E a guastare i costumi dei nobili molte cause avevano contribuito e fra esse una delle principali era stata, se io veggo nulla, la guasta lingua e la penna famosa per scurrilità del novelliere Matteo Bandello, che verso il 1530 veniva spesso a Caspano, dove raccontava alla gaia società della Università dei Nobili sporche buffonerie, burle procaci e villane storielle. Frequentava pure i Bagni del Masino, che, come scrissi, erano allora soggetti a questa parrocchiale, per cui vi andava a celebrare la messa festiva, durante la stagione balneare, alcuno dei cappellani di questa parrocchia di Caspano. Nella lettera premessa alla novella XXIII del vol. II, parte 1, dice infatti, che egli «soleva andare in Valtellina a godere quei freschi di Caspano e dei Bagni del Masino» e in quella premessa alla novella XLIII del volume ottavo, parte terza, così incomincia: «Io solevo questi anni a dietro. come sapete, il tempo della state andarmene in Valtellina, e quivi a Morbegno, ma più spesso a Caspano e ai Bagni del Masino diportarmi, mentre che i caldi duravano, e godermi quei freschi, che ordinariamente ci sono; perché da mezzo luglio, io che altrove le lenzuola non posso addosso soffrire, a Caspano la notte una buona coperta teneva. In quella terra sono di molti gentiluomini, i quali, ancor che stiano su quell’alta montagna, vivono nondimeno molto civilmente, con delicati cibi e vini preziosissimi. E benché tutta la Valle faccia ottimi vini, nondimeno la Costa di Traona, che è sotto Caspano, li genera. di tutta eccellenza. Quivi tutto il dì si vedono Grigioni e Svizzeri, che vengono a comperare del vino. Ora essendo io con messer Giovanni Paravicino, dottore e dei primi gentiluomini del luogo, un giorno andato ai Bagni del Masino, per via di diporto, vi ritrovai molti gentiluomini Milanesi e Comaschi». E qui mette in bocca a Benedetto Giovio, che trovò là con quegli altri Comaschi, una delle più schifose novelle, dove morde la vita dei preti di allora.

L'attività proselitica dei Protestanti non solo era sostenuta dell'autorità civile, ma sostenuta, per colmo di ironia, a spese dei cattolici e colle rendite dei benefizi ecclesiastici. Perfino si usavano ingiustizia nello stabilire le imposte sui terreni, aggravando di più i cattolici, che i riformati (1); onde, non dobbiamo meravigliarci, se dei nobili molti per ismanie di novità, o per farsi un nome o una carriera, o per isfuggire a noie e a persecuzioni, aderissero all'eresia, ed altri, pur non abbracciando nell'intimo del cuore l'eresia, smarrissero ogni fortezza d'animo, e al veder insidiata la religione, minacciata la fede, assalito il dogma, disconosciuta l'autorità della Chiesa, strisciassero, vittime miserabili del rispetto umano, a piè dei potenti stranieri, rinnegando coi fatti la Fede cattolica.

Diversi ministri protestanti predicavano errori diversi nei vicini paesi. A Mello predicava Lorenzo Gaio, già frate cappuccino, che più tardi cadde a Roma nelle mani degli inquisitori. Dopo la sua morte la sua supposta moglie Francesca e la figlia Savia si fecero cattoliche; e dopo di lui quei di Mello non tennero più fino al 1600 altri predicanti stabili, ma si servivano ogni tanto di quei di Traona; a Morbegno, predicava Gerardo da Fossano, e, più tardi, Francesco Cellario, che fu pure tradotto al S. Uffizio e giustiziato; a Traona Bartolomeo Silvio da Cremona, che pare negasse anche il dogma dell'Unità e Trinità di Dio, e molti Caspanesi, che nell'inverno scendevano (come ancora) nei dintorni di Traona a coltivar le vigne, venivano a conoscenza delle false dottrine di lui. Però gli Antitrinitari erano perseguitati anche dai Grigioni, e la loro Sinodo del 1571 lo bandì, con alcuni altri, dalla Valtellina.

Ma, più che altrove, i predicanti protestanti abbondavano a Caspano, e Caspano, «il semenzaio della Nobiltà Valtellinese», minacciava di divenire un focolaio pericolosissimo d'eresia. Quivi si era domiciliato l'eretico Camillo Siciliano, e per più di 40 anni fu ministro dei protestanti di Caspano certo Angelo Piemontese, già cappuccino, del quale, come vedremo, fa cenno anche il vescovo Ninguarda.

Però le dottrine più desolanti furono qui predicate da Camillo Renato, che era stato maestro d'eresia a Bartolomeo Silvio, sopra accennato. Egli predicava contro il santo Battesimo e insegnava, che l'anima col corpo ha fine, che la Sacra Cena è solo un simbolo, che solo i giusti risorgeranno, e che il decalogo è superfluo a chi crede, al quale credente lo Spirito Santo direttamente detta la legge. Da Caspano si portò poi a Chiavenna, dove continuò ad insegnare gli stessi errori. Il Mainardo, ministro a Poschiavo, tentò correggerlo, ma gli rispose violentemente, sostenuto da Francesco Negri, altro eretico qui rifugiato, e dallo Stancari, coi quali fu poi condannato dal sinodo Grigionese del 1547.

Tutti questi eretici si accordavano, benché spesso in lotta fra loro, a far guerra alle immagini dei santi, che trovavano dipinte sui muri e nei sacelli, alle quali recavano sfregi, e insultavano al Crocifisso, che volevano abolire dovunque, anche sull'altare. Non si capisce come, né perché divenissero feroci iconoclasti, imitati poi e superati forse dai rivoluzionari francesi. S. Pietro, quando, primo tra gli apostoli, annunziò ai Giudei la Nuova Dottrina, cominciò coll'evangelizzare loro il Nome di Gesù Crocifisso e richiamò alla mente di tutti la dolorosa tragedia del Dio del Golgota. Come S. Pietro, gli altri Apostoli ebbero sulle labbra un nome solo, il SS. Nome di Gesù Crocifisso, e S. Paolo scrive di non volersi gloriare in altro, che nella Croce del N. S. Gesù Cristo. Ammaestrata dagli Apostoli, la Santa Chiesa si è sempre presentata ai popoli nel Nome di Gesù Crocifisso, e il degno parroco di Caspano, Sac. Giovan Maria, che aveva lavorato con impegno, con zelo, con ardore alla salute del suo popolo, non aveva fatto altro, che evangelizzare, anche lui, la scienza dal Crocifisso. Invece i predicanti del Nuovo Evangelo, iniziarono la loro opera gridando guerra alle Croci ed alle sacre immagini: era una specie di furore, che li aveva invasi.

 

Scena sacrilega

 

Una di queste scene sacrileghe avvenne anche a Caspano. Nel 1557 i Grigioni promulgarono una legge, in forza della quale non solo era permessa dovunque la predicazione del Nuovo Vangelo, ma dove esistevano più chiese, una di esse doveva essere lasciata ai protestanti e dove una sola, questa doveva servire ad ambedue i culti. Ma a Caspano gli eretici avevano brigato tanto presso i signori Reti, che ottennero molto prima di quell'anno il permesso di tener nella Chiesa parrocchiale le loro prediche e le altre lor cerimonie di culto. È certo che fin dal 1546, in orario diverso da quello dei cattolici, essi usavano della Chiesa di S. Bartolomeo. In questo stesso anno 1540, a pochi passi dalla parrocchiale, era stata aperta anche una chiesa privata protestante e la favorivano Bartolomeo Paravicini e suo fratello Raffaele, uomo « dotto e pio», padre di numerosa famiglia. Ma ecco che una mattina in detta piccola chiesa fu trovato, fatto in pezzi, un Crocifisso; onde i cattolici levaron gran rumore contro la nuova religione, che neppure la immagine del Maestro risparmiava e tanto fremevano e tanto cercavano di impedire agli eretici di tenere ancora i loro riti nella Chiesa comune, assillati sempre dal timore, che vi avessero a compiere simili infamie, che fu necessario intervenisse il podestà ed arrestasse il ministro protestante; che, messo alla tortura, si confessò complice e consigliere del delitto, onde ebbe una multa e bando perpetuo dalle Tre Leghe. Giunto però a Chiavenna, egli protestò contro la violenza usatagli, asserendosi innocente e citò a Coira il podestà, ignoriamo con quale esito. Dissero poi, che il fatto non fosse altro, che monelleria di un figlio di Rodolfo Paravicini, tredicenne, il quale se ne confessò reo. Bei sotterfugi.

 

La morte del curato Giovan Maria

 

Il M. Rev. Sac. Giovan Maria Paravicini era, come scrissi, curato di Caspano e prevosto di Ardenno (non essendo ancora a quel tempo proibita la cumulazione dei benefici), ma visse sempre a Caspano, dov'era nato, affidando ad altri la cura di Ardenno. Egli morì in sul finire del 1548 oppure in principio del 1549, dopo aver con alto senno governata questa parrocchia il lungo spazio di 52 anni e più, durante i quali era stato lì, saldo come una rupe, contro gli eretici a ricordare i diritti impreteribili del Signore e ad intimare il non licet a quelli, che sì facilmente si licenziavano ad appagar le passioni. Il suo corpo, ravvolto nel sudario, fu messo a riposare negli oscuri loculi, sotto il pavimento della Chiesa, da lui fatta ampliare e il suo spirito, in pace dolcissima, veglia nella luce immortale, presso quel Dio, di cui fu servo buono e fedele. 

 

(1) — Per sistemare la differenza delle imposte sui terreni di cattolici e di proprietari un dì evangelici di Valtellina si fece solo dopo il Sacro Macello un accordo in Sondrio, per intromissione dei Signori delle Eccelse Tre Leghe, rogato dal Cancelliere di Valle, addì 8 giugno 1642. Come da una nota esistente in questo archivio.