Capo I
CASPANO
Origine sua e degli altri vicini paesi - suo antico splendore -
costumanze vecchie e nuove.
Chi percorra in ferrovia la Valtellina con l'occhio volto a contemplare
le prospettive incantevoli e svariatissime, che, dallo squallore degli
eterni ghiacciai alla fecondità dei più fioriti valloni, con perpetua
vicenda gli passano rapidamente, quasi scene di cosmorama davanti allo
sguardo, difficilmente intravede quella bellissima plaga, che si insinua
tra le montagne a Nord-Est di Morbegno e che ebbe un dì grande
importanza nelle vicende politiche e religiose di nostra valle.
Lassù coperto da fitta faggeta, che gli pende sul capo, scarso una dì di
facili vie di comunicazione, mentre ora si può accedervi in auto; al
riparo dei venti e dotato, relativamente ai quasi 900 m di altitudine,
di clima mite e salubre, si erge a spa hanno, centro di vicariato, con
la sua splendida Chiesa aprì positura per positura alle di prima
dignità, collegiata insigne e matrice di altre vicine parrocchie, e
colla sua maestosa torre, dalla quale si diffondono le dolci armoniose
note delle otto campane, che formano uno dei più bei concerti di
Valtellina per potenzialità di timbro e per dolcezza di espressione.
Delle due rotabili, che da Morbegno conducono a Caspano, una passa per
Dazio; l'altra, la sola fino a Caspano automobilistica, superati i pochi
angusti tornanti sopra il Ponte di Ganda, che ha comuni colla prima,
attraversa S. Croce e sale la costa come un lungo nastro candido,
insinuandosi fra le montagne in cerca di Caspano con una certa pigrizia
sognante ed offrendo un panorama bello sì nella carezza dorata e pesante
di un pomeriggio estivo, come nella trasparenza cristallina di un
mattino di gennaio, pieno di neve.
Attualmente il Vicariato di Caspano comprende le parrocchie di Caspano,
di Roncaglia, di Dazio, di Civo e di Cevo, delle quali le prime tre
occupano una terra sì amena per molli colline, per montagne tondeggianti
a pascoli ed a boschi, e per abbandoni pianeggianti, ed esposta a sì
dolce guardatura di cielo, che meriterebbe di essere meglio conosciuta,
come meriterebbe di essere geologicamente visitate.
È a sapere infatti che fra Caspano e Cadelsasso esisteva un dì una cava
di bellissimo marmo verde, adatto specie per lavori di accurate delizie
ornamentali, dalla quale Lodovico Moro, duca di Milano, fece estrarre,
come scrive il Muralto, grosse colonne per la Certosa di Pavia. Senza
soverchie spese si potrebbe ritrovarla e riattivarla con vantaggio ora,
che tanto va estendendosi l'uso della nitida pietra.
Tutto il territorio delle suddette cinque parrocchie non era, un dì
lontanissimo, se non un misto di boschi di abetine e di larici, dove,
tra il fremito dei rami secolari, si rifugiavano, cinguettando, gli
augelletti, e di una poesia di praterie smeraldine, dove, nella stagione
estiva, i pastori di Ardenno, dagli occhi chiari e sognanti, dal corpo
eretto e vigoroso, conducevano, al suon della festevole cornamusa e tra
gli scampanii delle zampogne, i loro armenti belanti.
Quei poveri armentieri col volger del tempo, desiderando sfuggire agli
straripamenti dell' Acida, alla malaria del piano paludoso e alle
guerre, pre-sero a costruire qua e là, su questi poggi ameni e fertili,
abitazioni, che dapprima erano rudimentali ed aperte ad ogni stridore di
freddo e a soggiornarvi anche l'inverno. Ecco l'umile origine di questi
paesi sì pittoreschi e sì vivaci.
Dazio fu così chiamato perchè ivi per ogni capo di bestiame, che veniva
condotto quassù o nella vicina valle del Masino per l'alpeggio, si
doveva pagare al principe certa gabella o dazio.
Caspano, o, come era detto un dì, Cazapano, di cui la tenebria dei tempi
ci occulta l'origine antichissima e a cui diede nome il greco Kathapan,
che con una colonia ellenica là si ricoverò fra quei pastori, si
prestava, per la sua felice ubicazione, assai meglio che gli altri
vicini paesi nei secoli dell'Evo di mezzo ad accogliere coloro, che
volevano fuggire gli orrori delle invasioni barbariche o delle lotte
feroci fra i partiti, o le prepotenze e le vessazioni dei feudatari, o
le distrazioni dell' agitato commercio, onde non tardò a divenire
rifugio di nobili, ed, a sua volta, culla di nobiltà. Di là trasse sua
origine la famiglia Caspani che ivi abitava; fu pure patria degli
Alamanni, dei Castelli, dei Malacrida, e dei Paravicini.
I Paravicini sono di quei nobili Comaschi che, soccombendo in patria per
le guerre civili il loro prestigio, ripararono primamente a Caspano;
donde si diffusero anche in altri centri della Valle. Di loro il primo,
che venne quassù a fissare sua dimora, fu, in sul finire del XII secolo,
Domenico, figlio di Stratia. Egli ci si trovò sì bene, che avendo avuto
un figlio, affine di invogliarlo a non abbandonare questo alpestre
paese, gli diede il nome di Montanaro. Da Montanaro nacquero: Alberto e
Belono, i quali divennero capostipiti di numerose famiglie, che, per
distinguersi fra loro, si chiamarono anche con altri nomi. Si ebbero
così a Caspano i Paravicini detti Capello, i P. Facioni, i P. Gatti, i
P. Della Donna, i P. da Bedolio o Bedolini, i P. Peregrini, i P. Lozza,
i P. Sassello, i P. Gianolo, i P. Matterolo, ecc. ecc. Da Caspano alcuni
si portarono a Buglio, dove si chiamarono P. Claudii, altri si
stanziarono ad Ardenno, e di questi alcuni furono detti P. Volpatti,
altri P. Sabino.
Verso il 1240 i Paravicini di Caspano eran già sì potenti, che
rifacendosi la città di Como, poc'anzi distrutta, con capitale ed aiuti
somministrati in parte dai Valtellinesi, vi edificarono a proprie spese
una torre (vedi Tatti, p. 432 e Ballerini, parte 3, cap 9). Però il
celebre Tignacca Paravicini, che fu podestà a Como nel 1303, a Cremona
nel 1308, a Piacenza nel 1309, a Milano nel 1310 e che, difendendo Monza
nel 1322 contro i Milanesi, cadde prigioniero nelle loro mani, uomo
certo di gran merito, pare, con buona pace dell'abbate Saverio Quadrio,
che lo dice Valtellinese e di Caspano, che non sia stato nè di Caspano,
nè Valtellinese, ma Comasco.
Al lustro della nobiltà si aggiunse poi lo splendore della gloria dei
figli di questa terra romantica, dei quali, come si dirà, chi fu
insignito di porpora, chi di mitra, Chi di alti gradi negli eserciti
imperiali ed in molte città d'Italia, chi seppe maneggiar bene la penna,
e chi il pennello, e chi colla pietà e colla virtù illustrò i centri più
insigni di Valtellina. Caspano si mantenne italianissimo focolare di
irredentismo, tanto più intenso quanto più calmo, e tanto più meritevole
quanto più dovea occultarsi e vigilare sotto gli occhi del podestà
grigione, qui l'estate residente, e nonostante le pestilenze e le guerre
lo riducessero spesso misero e spopolato. I suoi stessi figli eretici,
rifugiatisi a Zurigo dopo «i Vespri Valtellinesi», lottarono presso il
Senato Svizzero per aver il permesso di usar la lingua italiana nei loro
riti religiosi, come si dirà a suo tempo.
Questa zona saluberrima e suggestiva coll'affluir dei nobili venne
trasformata; furono costruite belle abitazioni con sale istoriate a
rabeschi, ampi cortili e portici con graziosi colonnati, nei quali le
ricche famiglie si trattenevano a godere i tiepidi soli di inverno e la
frescura estiva. In quasi tutti i palazzi si aveva la cisterna per
l'acqua. Di questo antico splendore oggimai non restano che poche
tracce. Belle stufe e mobili artistici, camini antichi e stemmi e
cassoni dipinti furono o distrutti o esportati a pochissimo prezzo da
disonesti speculatori. Sono pure quasi scomparse le caratteristiche dei
pochi vetusti palagi che ancor sussistono, in alcuno dei quali si
leggono sulle pareti versi latini.
Sono pure demolite le pittoresche bifore, né (e ciò ancor più rincresce)
si seppe sempre salvaguardare il patrimonio chiesastico. Sopratutto a me
duole, che in tempi non molto lontani si sia venduto per una miseria uno
splendido calice della capacità di circa un litro (del quale parlerò a
suo tempo), di grande interesse storico (oltre che artistico) perché, se
io non erro, portava la data del 1146 e tacitamente attestava, che in
quell'antica età anche a Caspano si amministrava ai fedeli la SS.
Comunione sotto ambe le specie Eucaristiche.
Gli abitanti si videro presto divisi in due classi: la nobiltà e la
plebe, Quest'ultima colla misera sua progenie sudava, rompendo colla
marra sotto la sferza del sole il duro altrui maggese e trascinava la
vita nelle angustie della povertà e nell'avvilimento. Non era dapprima
organizzata, nè avvezza alle armi ed aveva ogni tanto colla nobiltà dei
dissapori e delle divergenze, specialmente in occasione dei comizi per
la nomina del parroco. In sul finire del XV secolo anche la plebe appare
organizzata e difesa nei suoi diritti dai propri sindaci o procuratori,
eletti fra essa. Nel 1596, addì 29 giugno, con atto rogato da Battista
dei Paravicini Fucioni da Caspano, i procuratori della plebe comprano a
nome proprio e a nome di tutti gli uomini plebei di Caspano dai nobili
fratelli Battista e Bartolomeo Malacrida, figli del fu Pietro, da
Caspano, eretici calvinisti, il diritto alpezzandi, pasculandi et
buschezzandi del Desenico, riservandosi i venditori la sola facoltà di
condurvi ogni estate tre cavalli.
La Università dei Nobili invece, composta specialmente di Paravicini e
di Malacrida ed irraggiata spesso dalla gloria militare e qualche volta
da quella degli studi, appare ben presto organizzata e si radunava ogni
anno ad epoche fisse sotto il proprio Console e teneva il posto primario
nei consigli di tutta la Squadra di Traona, e, per essere la sola
proprietaria dei terreni, e per l'appoggio della autorità civile, a cui
quasi sempre era legata, e dei molti massari da essa dipendenti, traeva
a sè gli impieghi civili, le armi, e i benefizi ecclesiastici, che non
solo a Caspano, ma anche nei vicini paesi, sono quasi sempre coperti da
Paravicini.
Di una parte dei nobili non avresti saputo dire se eran di Caspano o di
Traona, avendo essi il costume, come i loro antenati, di soggiornare
l'inverno a Traona e l'estate a Caspano. E tale era ed è ancora
l'abitudine di parte del popolo, che nei mesi di gennaio e di febbraio e
per buona parte di marzo, quando a Caspano ogni cosa è neve, viveva e
vive disperso qua e là nelle vigne di Porcido, dei Torchi, di S. Croce,
e della Manezia.
Anche il podestà di Traona, che giudicava le cause criminali e civili in
appello, villeggiava a Caspano l'estate. Nel 1560 ad uso del podestà fu
eretto quassù un bell'edifizio, con portico e colonnato, che ancor
sussiste; vi si possono visitare le antiche carceri, dalle scabre
pareti, qua e là luccicanti di strisce di umidità sotterranea, dalle
quali pendevano alcuni anelli, che vi erano infitti per incatenare i
prigionieri. E' fama che al tempo della repubblica Cisalpina vi sia
stata piantata la ghigliottina. Ora vi è profondo silenzio, interrotto
solo dal fischiar del vento dal batter dell'ala dei pipistrelli, che vi
sogliono aggrupparsi negli angoli scheggiosi.
A Caspano, in questo nido di poesia e di sogno, dimorava l'estate anche
buona parte dei signori, che frequentavano i Bagni del Masino, i quali
si prendevano l'incomodo non lieve di partire da Caspano la mattina e
far ritorno la sera, compiendo fra andata e ritorno circa sei ore di
cammino.
La festa di S. Bartolomeo apostolo (24 agosto), titolare della
parrocchia, dava occasione a tutti i parrocchiani di mettersi in gran
tripudio; in tale circostanza affluivan qua non solo gli abitanti dei
vicini paesi, ma anche molti nobili delle grosse borgate di Valtellina,
i quali, essendo spesso legati ai nobili di Caspano o per vincoli di
sangue, o per ragione di interessi, o per titolo di amicizia, si davan
per quel giorno quassù la posta per ragionare di tante cose.
Oltre i nobili ed i signori balneanti affluivano quassù, come pure in
molti altri paesi di Valtellina per mettere in sicuro lor vita, dei
Ghibellini, accusati di eresia dai Guelfi per odio di parte, epperò
inquisiti specialmente nelle grosse città dai Domenicani. Per la stessa
ragione di mettere in salvo la vita, riparavan in Valtellina molti
eretici, perfino dall'Italia meridionale.
Da Caspano e dagli altri paesi del suo vicariato molti da secoli
emigrano a Roma, dove al tempo del governo pontificio godevano di
speciali privilegi. Avevano nella Compagnia dei facchini della Dogana di
terra trentadue posti, divisi nei due ruoli: facchini esercenti e
facchini supplenti, (di 15 facchini e di un caporale cadaun ruolo) e
formavano la Compagnia dell'Annona, altra specie di facchini, misuratori
di granaglie. L'erezione della prima data verso il 1415, da quando cioè
furono piantate in Roma le Gabelle e fin d'allora i Valtellinesi hanno
potuto prendervi parte in forza del «Chirografo», o Bolla pontificia,
emanata, credo, in quell'anno, la quale stabiliva doversi prendere la
compagnia dei facchini della Dogana « dal Canton Grigione nella Svizzera
italiana », (per cui fu poi detta anche Compagnia Grigiona, o dei Grigi
»), e garantiva in perpetuo ai membri di essa la futura immediata
successione « di padre in figlio, di fratello in fratello, di
consanguineo in consanguineo ». Nel 1849 fu rilasciato dal Ministero
della Dogana del governo pontificio un certificato attestante la fedeltà
e la buona condotta dei facchini Valtellinesi e dei loro antecessori,
dimostrato attraverso i rivolgimenti politici, ed in ogni altra
occasione.
Fu gran ventura, che i nostri parrocchiani abbiano approfittato per
tempo di questi favori pontifici, perchè i frequenti e stretti rapporti
con Roma, che per gli affetti di malattie dello spirito è sempre il
polmone risanatore, aiutarono a tener viva nella plebe di Caspano la
fede cattolica, allorchè essa veniva in mille modi combattuta dagli
eretici calvinisti della parrocchia e dalle autorità civili. Anche i
vantaggi materiali privati e delle chiese, che ne derivarono, furono
incalcolabili: gli emigrati di ciascuna di queste parrocchie fondarono
la Cassetta per la Chiesa; cioè, uno di essi, scelto per turno, visitava
ogni mese i singoli compagni comparrocchiani di emigrazione e ne
riscuoteva in favor della Chiesa un'offerta in denaro, il cui
quantitativo per ogni emigrato era stato previamente e di comune accordo
fissato. E' specialmente colle elemosine raccolte a questo modo, che in
questa amena sponda della Valtellina sì sono potute costruire delle
splendide Chiese Parrocchiali e Filiali ed arredarle di ricchi tesori
d'arte sacra, che fanno meravigliare il visitatore.
Della parrocchia prepositurale di prima dignità e collegiata insigne di
Caspano chi più degli altri fece fortuna a Roma fu un Vincenzo Giovanni
Grazioli, figlio di un Lorenzo fu Vincenzo, detto Giumello, e di una
Maddalena Lombardini di Giovanni fu Francesco, nato addì 27 giugno 1770
a Cadelsasso. Costui, partito di qui ancor garzone e povero, seppe colla
sua avvedutezza arricchirsi nel commercio ira guisa, che potè poi
accordare forti prestiti di denaro allo stesso governo pontificio, da
cui ricevette il titolo di Barone, e, più tardi, quello di Duca. Il
figlio di lui, succedutogli nello stesso titolo di Duca, vendette a S.
Maestà Vittorio Emanuele II per 12 milioni la Villa di Castel Porziano.
(1).
Come i Grazioli siansi resi benemeriti della patria nella guerra di
Libia ed Europea e dopo, nessuno lo ignora.
Della lunga abitudine di emigrare a Roma risente anche il dialetto di
queste contrade e non è raro il caso, che il visitatore rimanga
fortemente meravigliato di trovare sulla bocca dei poveri montanari di
questo estremo lembo d'Italia il più puro parlare dell'Urbe; si
riscontran anche voci latine (come pruina, invece di brina), ed
espressioni, che san di latino: quasi tutti invece di « grazie »
rispondono ad un favore: « Grammazzè », oppure « Grammazzè ai por mort
», espressione che fa pensare ad una possibile parentela colla latina:
«gratiarum actio», o (ma pare meno probabile) colle voci francesi: «
Grande mercy ».
Non trovo documenti, che trattino di processi, che certo devono essere
stati fatti e numerosi anche quassù, contro gli eretici e contro le
streghe; l'anticlericale Vittorio Spinetti consultò a lungo archivio
parrocchiale di Caspano, anni sono, quando stava raccogliendo materiale
per il libello Le streghe in Valtellina », e neppur lui trovò nulla a
questo riguardo.
Come pure io non trovo, che nelle Parrocchie di questo Vicariato sia
stata mai rappresentata in figura la dolorosissima storia della Passione
dei Redentore, laddove a Traona nel giovedì santo si teneva la
processione dei flagellanti: una comparsa di uomini mezzo ignudi, che
percuotevansi con catene e con flagelli; ciò finiva per essere non
saprei dire se un palliativo od un incentivo di passioni basse, onde il
parroco si adoperò, pochi anni sono, d'accordo coll'autorità civile, ad
abolirla e vi riuscì, non senza qualche noia.
Si usava poco tempo fa, allorchè una vedova passava ad altre nozze,
farla seguire per le strade il dì dello sposalizio da una turba di
ragazzi, sonanti zampogne...; come pure si soleva pretendere dallo
sposo, quando prendeva moglie fuori di sua parrocchia, che pagasse da
bere ai giovani della parrocchia della sposa; ma oggimai tali costumanze
sono cadute in disuso. Dura però quella dei ragazzi di girar la contrada
il primo di marzo, facendo sentire scampanii di rustiche zampogne per
«chiamar l'erba» e buscando poi nelle case un po' di castagne; quella di
accendere dei fuochi nei campi la sera della prima Domenica di Quaresima
per «bruciare il vecchio carnevale », e quella di chiedere « il Gabinatt
» nel dì dell' Epifania.
Oggi da Caspano i nobili sono scomparsi ed il paese ha perduto molto
dell'agiatezza e dell' importanza dei secoli andati e quasi rende
immagine di una gentildonna decaduta, ma che conserva ancora qualche
grazia nel suo decadimento. Il fondo di questo popolo è buono,
eccellente. Se riceve un favore, una buona grazia, si mostra sensibile e
grato. Non ci sono grandi ricchi, ma nessuno soffre la fame e c'è molta
carità nel soccorrere chi per avventura si trovasse nelle strettezze del
bisogno. Hanno quasi tutti un carattere simpaticamente schietto ed
aperto; salutano il loro parroco con quell'occhio e con quell'accento,
che mostrano al rispetto congiunto l'amore e la confidanza di figli. Gli
occhi sono vivi, lucidi e spiranti bontà; sui volti aleggia un non so
che di modestamente ingenuo, che ti edifica. Anche il vestir delle
donne, come è schivo d'ogni ornamento, così è anche assolutamente
esemplare, chè quassù la turpe moda, nata negli abissi dell'abiezione e
sfacciatamente regnante nelle grosse borgate, non è ancor giunta. Questa
terra però pare che parli meno che un dì col suo sorriso, e più coi suoi
divieti: terra povera e gravatissima di imposte, agricoltura poco
rimunerativa, gli inverni più lunghi e più rigidi dopo che, scomparse le
solenni e solitarie abetine, che proteggevano Caspano e lo salvavano con
tutti i paesi contermini, sgravando l’elettricità terrestre, dalla
gragnuola; anche la rumoreggiante faggeta, cresciuta al posto di esse,
viene spesso e senza riguardo alla sicurezza stessa del paese, manomessa
dalla assidua e sistematica devastazione della scure.
(1) - Quanto il S. Pontefice Pio IX stimasse il duca Grazioli si può
arguire anche dal seguente aneddoto. Il principe Don Livio Odescalchi
aveva fondata la società romana per la caccia alla volpe,
divertimento portato in Italia da oltre mare da Lord Castefied fin dal
1842. Se non che per un incidente avvenne che in detta caccia morirono
Basi e Berty Mattieu, cognato di Alessandro La Marmora. Lo stesso
principe Odescalchi, rovesciatosi col cavallo al salto di una
staccionata, fu raccolto ferito e svenuto. E tanto fu il dolore della
principessa, sua sposa, che corse dal Papa ed ottenne solenne divieto
per quel divertimento pericoloso. Qualche anno dopo si desiderava veder
risorta la società per la caccia alla volpe ed il duca Grazioli, fattosi
interprete del comune desiderio, andò in udienza dal Pontefice a
supplicarnelo. E il Papa, che a tanto intercessor nulla negava, tolse il
divieto.