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1510-1520 circa legno intagliato, dorato e dipinto 400 x 250 cm circa
L'ancona costituisce l'altare maggiore della chiesa di San Bartolomeo, ed è dedicata al santo titolare dell'edificio. Inserita in una grande cassa nella parete di fondo della chiesa, occupa la posizione che con ogni probabilità corrisponde a quella originale. Mancano oggi alla cassa le ante di chiusura, forse realizzate in tela, come si può riscontare in altri casi analoghi (Ponte, Como, Morbegno), e mancano pure, perché rubate nel 1995, le figure a tutto tondo dei santi Rocco e Sebastiano, che occupavano le nicchie laterali del registro inferiore, e quelle dei santi Giorgio e Martino entrambi a cavallo, che si trovavano ai lati del secondo registro. Pure rimossi risultano ben dodici dei tredici busti e il rilievo di Cristo e gli Apostoli della predella. I nove rilievi scampati al furto e le cornici dorate non si mostrano nella loro policromia originale, bensì con una pesante ridipintura simile in tutto a quella che ricopriva l'ancona della Resurrezione di Lazzaro fino al restauro del 19771978. Divisa in tre registri sovrapposti, la grande macchina d'altare raffigura nove scene della vita di san Bartolomeo ed è contornata in basso dalla predella, ai lati del registro inferiore da due nicchie e in alto da un vistoso timpano al centro del quale si affaccia Dio padre benedicente. Ricche le incorniciature: un fregio marcapiano separa i due registri bassi, due volute raccordano le estremità delle nicchie laterali inferiori al registro mediano, una cornice a mensole divide quest'ultimo da quello superiore, delimitato in alto da una vera e propria antologia dei motivi più tipici della cornice rinascimentale. L'ancona fu attribuita ad Alvise (o Luigi) De Donati da Bassi (19271928), che riconobbe la somiglianza con la Resurrezione di Lazzaro firmata dall'artista che si trova nella stessa chiesa. L'attribuzione venne accolta da Gnoli Lenzi (1938), mentre Natale (1979) notava uno scarto qualitativo tra le due opere, escludendo quindi l'attribuzione ad Alvise De Donati per l'altare in questione, ripresa invece da Venturoli. Accertato che la firma sull'opera non corrisponde necessariamente all'esecuzione della parte scultorea ma forse solo alla stesura pittorica, l'attribuzione ad Alvise, conosciuto in pratica solo come pittore, si è spostata a favore della più larga partecipazione della bottega familiare De Donati, diretta dai fratelli Giovan Pietro e Giovanni Ambrogio. Alla qualità seriale e corsiva delle figure, che rientrano nel repertorio più stereotipato della bottega, si contrappone la concezione complessa e variata delle architetture raffigurate nei diversi rilievi. Si tratta infatti di un repertorio aggiornato che "documenta negli edifici per lo più a pianta centrale ( ...) il livello del dibattito sull'architettura di quegli anni a Milano" (Venturoli 1982). Questo aspetto fortemente architettonico dell'ancona, unitamente all'elaborata concezione delle incorniciature, pone l'opera in un ambito tutt'altro che minore della produzione della bottega, anzi all'interno di una progettazione che regge il confronto con la fastosa cornice del polittico di Butinone e Zenale a Treviglio o con l'altare della Pietà di Orselina (Locarno) e che trova più di un riscontro anche nella cornice del polittico del Duomo di Vigevano attribuito a Bernardino Ferrari, databile al secondo decennio del Cinquecento. Ed è, questa, una datazione compatibile con l'altare di Caspano, che segna un momento maturo dell'attività della bottega, segnata ormai, nell'esecuzione delle figure e dei rilievi, dalla massiccia presenza della bottega. Raffaele Casciaro
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